Antinfiammatori intestinali
Apparato gastroenterico: da cosa è composto?
Differenza tra gastroenterico e gastrointestinale
Gli antinfiammatori intestinali si usano per la diarrea?
Le malattie infiammatorie croniche
Perché l’intestino si infetta?
Quando si parla di flogosi dell’intestino?
Differenza tra antibiotico e antinfiammatorio
I disinfettanti intestinali
La Mesalazina funziona?
La dieta antinfiammatoria
Trattamento con agopuntura
Si trovano al banco? Facili da comprare o no? serve ricetta?
Apparato gastroenterico: come è composto?
L’apparato gastroenterico è il sistema complesso che regola l’assorbimento delle sostanze vitali per l’organismo. Conosciuto anche come apparato digerente, esso si divide in varie parti, ciascuna delle quali assolve una funzione precisa.
Alla domanda: l’apparato gastroenterico da cosa è composto possiamo rispondere quindi che esso è fatto di una serie di organi cavi che partono dalla bocca e terminano nell’ano. Tutti organi interessati alla elaborazione degli alimenti in elementi assimilabili dalle cellule del corpo umano.
Volendo fare quindi una lista di questi organi cavi, senza entrare nel dettaglio né specificare le funzioni di ciascuno, basta dire che esso è formato dalla bocca, dalla faringe, dall’esofago, dallo stomaco, dall’intestino tenue, dall’intestino crasso e dal colon.
A questo percorso, assimilabile ad un lungo tubo ricco di anse, di restringimenti e di espansioni, afferiscono gli umori di altri organi secretori, come il fegato, la cistifellea, il pancreas. Alla fine del processo una parte degli elementi nutrienti viene distribuita alle cellule tramite il sangue mentre un’altra parte viene accumulata nei tessuti come riserva per le emergenze. Le sostanze di scarto invece vengono avviate verso il colon ed espulse all’esterno.
Ovviamente si tratta di una descrizione di massima perché poi bisognerà distinguere, in ciascun segmento dell’apparato gastroenterico, una serie di componenti che contribuiscono all’espletamento corretto delle sue funzioni. Uno degli elementi, per esempio, che svolge un ruolo fondamentale è proprio la mucosa. Vediamo meglio quale.
Ruolo della mucosa, quanto è spessa?
Una sezione orizzontale dell’apparato gastro-intestinale evidenzia grossolanamente la presenza di quattro strati concentrici chiamati tonache. Le due tonache più interne sono costituite proprio dalla mucosa e dalla sottomucosa. La mucosa dunque è la prima membrana ed è quella che entra direttamente in contatto con gli alimenti.
Il ruolo della mucosa è quello di assorbire gli elementi nutritivi, secernere succhi ed enzimi fondamentali e agevolare la digestione dei cibi. Chiedersi quanto è spessa la mucosa non è una domanda banale perché essa è formata da quattro strati. Si tratta in pratica dell’epitelio, della membrana basale, della lamina e della mucosa muscolaris adibita alla peristalsi. Essa è presente in vari tratti del tubo digerente e la sua natura si modifica in funzione dell’attività che deve svolgere in ciascuno dei segmenti.
Ad esempio nello stomaco deve essere in grado di resistere al PH acido, mentre nel tenue deve possedere grandi capacità di assorbimento e nel crasso riuscire a regolare la quantità dei liquidi. Per questa ragione lo spessore parietale dell’intestino è differente a seconda del tratto e varia tra i 3 e i 5 millimetri in situazione di normalità, mentre in condizioni di patologia intestinale avanzata può superare i 7 millimetri.
C’è da tenere in considerazione in ogni caso che lo spessore dello strato “barriera” della mucosa gastrica non supera comunque i due decimi di millimetro.
Differenza tra gastroenterico e gastrointestinale
La differenza tra gastroenterico e gastrointestinale spesso genera confusione. In molti casi infatti i due termini vengono scambiati tra loro e indicano tutto il tratto digerente. Volendo essere pignoli però mentre con il termine gastroenterico si fa riferimento a tutto il sistema digerente, dal cavo orale all’ano, la parola gastrointestinale in genere definisce solo l’apparato digerente vero e proprio escludendo bocca ed esofago. Si tratta comunque di una tendenza che ha dominato il precedente periodo della ricerca medica. Una ricerca che oggi invece sta lentamente tornando alle origini e riconosce il valore digestivo anche della funzione orale ed esofagea. Quindi a conti fatti puoi tranquillamente considerare i due termini come sinonimi.
Cosa sono gli ASA e quando si usano i farmaci con questo principio
L’acido acetilsalicilico è la composizione realizzata in laboratorio dei principi terapeutici contenuti in alcune elementi del salice, già conosciuto come anti-febbrifugo e antinfiammatorio sin dall’antichità. Quindi se ti capita di incontrare questo acronimo e ti chiedi cosa sono gli ASA e quando si usano i farmaci con questo principio, sappi che si tratta di un farmaco antinfiammatorio non steroideo utilizzato come antipiretico, analgesico, antinfiammatorio e antiaggregante delle piastrine. Il suo uso come antiaggregante aumenta la fluidità del sangue ed evita la formazione di coaguli nei vasi sanguigni e il conseguente infarto cardiaco. Mentre come antinfiammatori gli ASA vengono impiegati nei malesseri intestinali perché riducono l’infiammazione.
Gli antinfiammatori intestinali si usano per la diarrea?
Gli antinfiammatori intestinali si usano per la diarrea solo nel caso in cui questa sia un sintomo rivelatore di una situazione di malessere intestinale dovuto ad un’infiammazione. Alcune malattie infiammatorie che attaccano l’apparato digerente in alcuni casi arrivano anche a cronicizzarsi e rientrano nella categoria MICI, acronimo che indica le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali.
Le malattie infiammatorie croniche
Tra le malattie infiammatorie croniche più diffuse ci sono sia la malattia di Crohn che la rettocolite ulcerosa. Queste malattie alternano le fasi acute ai periodi di latenza, che possono essere anche abbastanza prolungati. I sintomi di ciascuna sono abbastanza differenti per cui non è difficile capire con quale delle due si ha a che fare e, di conseguenza, come intervenire per alleviarla.
Con quali si può convivere meglio e con quali si fanno più rinunce
Una dieta alimentare adeguata è fondamentale sia nel caso si sia affetti dalla rettocolite ulcerosa che dal morbo di Crohn. La dieta infatti, insieme ad una regolare attività fisica, aiutano a mantenere uno stile di vita sano e mettono il fisico in condizione di affrontare meglio le fasi di riacutizzazione della malattia.
Quindi pochi grassi saturi ed alcoolici, pochi latticini e preferibilmente magri, predilezione del pesce rispetto alle carni, eliminare spezie e caffè e mangiare un’adeguata quantità di fibre (tranne che in fase acuta).
Fondamentale anche l’apporto liquido quotidiano, soprattutto acqua. Con quali si può convivere meglio e con quali si fanno più rinunce quindi dipende soprattutto dagli effetti collaterali, che sono comunque molto fastidiosi in ambedue le malattie. Diamo un’occhiata allora alla differenza tra queste due patologie.
Differenza tra Crohn e colite ulcerosa
La differenza tra Crohn e colite ad esempio è abbastanza evidente per quello che riguarda i sintomi rivelatori. La malattia di Crohn infatti è capace di fare insorgere scariche diarroiche prolungate che durano a volte anche un mese. Queste scariche sono regolarmente accompagnate da dolori intestinali e forti crampi, manifestazioni febbrili persistenti, dolori articolari, sangue nelle feci e perdita di peso. Questa malattia colpisce generalmente l’ultimo tratto del tenue e il colon con una infiammazione che interessa tutta la mucosa, provocando a volte ulcerazioni sparse, restringimenti e fistole intestinali. Anche nelle forme più moderate è possibile riconoscere il Crohn effettuando dei controlli regolari.
Si può intervenire, se la malattia viene riconosciuta, a livello farmacologico con una terapia immunosoppressiva, in ambito naturopatico attraverso l’utilizzo di diversi sistemi e rimedi atti a riequilibrare tutto il sistema psicosomatico, ed intervenendo con antinfiammatori naturali ed il ripristino completo del microbiota.
Per quello che riguarda la colite ulcerosa i sintomi extra-intestinali sono molto più rari e si manifestano solo per il 35% dei casi. Le scariche invece sono talmente violente e abbondanti da causare anche la disidratazione e sono regolarmente cariche di sangue. Questa malattia colpisce principalmente il colon retto e se non curata può creare delle lesioni irreversibili e lo sviluppo di cellule maligne nei tessuti più colpiti.
La diagnosi più attendibile è quella effettuata dopo un’indagine colonscopica, ma si può intervenire, se il soggetto è particolarmente sensibile, anche con una cromo endoscopia o una radiografia della parte.
Le indagini però è bene vengano sempre precedute da un’analisi delle feci chiamata “calprotectina fecale”.
Le terapie farmacologiche per il mantenimento entro i livelli di guardia di questa malattia si basano sugli antinfiammatori specifici di tipo ASA, come la mesalazina, gli steroidi che agiscono anche come antinfiammatori e gli immunosoppressori come l’azatioprina e la ciclosporina. È possibile ricorrere anche all’infliximab che rientra nella categoria dei farmaci biologici. Questo infatti aggredisce proprio alcune delle molecole che causano l’infiammazione. In casi estremi però si è costretti a ricorrere alla resezione di una parte del colon con un intervento chirurgico.
In ambito naturale il lavoro è più complesso, poichè si mira a chiarire le origini organiche e psicoemotive della patologie, ed intervenire in seguito attraverso una dieta personalizzata anche su eventuali intolleranze alimentari, l’utilizzo di fitoterapici specifici ad azione antinfiammatoria e ricostituente le ulcere enteriche, e probiotici mirati a riequilibrare la flora batterica alterata.
Perché l’intestino si infetta?
A volte capire perché l’intestino si infetta può essere complicato anche per lo specialista. Generalmente le responsabilità vengono affibbiate ad uno dei tanti virus da cui siamo circondati, preso attraverso il cibo o l’aria inquinata.
Ma oggi più che mai si segue la teoria che le ragioni siano da attribuire alla debolezza del sistema immunitario e ad un micro-bioma povero o squilibrato (disbiosi).
Purtroppo, quando si è costretti a fare ricorso ad una terapia invasiva, come quella antibiotica o un’immunosoppressiva, il primo a farne le spese è proprio il sistema immunitario. Intanto ovviamente esiste una lista quanto mai nutrita di batteri capaci di infettare l’intestino, nei confronti dei quali vengono adoperate delle terapie farmacologiche mirate. Vediamo allora quali di essi sono maggiormente implicati nelle infezioni intestinali.
Cause dell’infezione
Le cause dell’infezione intestinale, almeno quelle più comuni, sono da attribuire ad alcuni virus. Tra questi c’è la Salmonella, ad esempio, oggi sempre più presente in carni infette e in alcuni insaccati. Poi c’è l’Escherichia Coli e Helicobacter Pylori. Oppure questa infezione può essere causata dal Rotavirus, dall’Adenovirus, dal Campylobacter o dal Clostridium.
Una delle cause più comuni è bere acqua inquinata dal percolato fognario e quindi carica di questi batteri. Ma l’infezione può avvenire anche per via aerea a causa di un colpo di tosse o di uno starnuto di una persona infetta.
Quando si parla di flogosi dell’intestino?
Quando si va da un gastroenterologo o si visita una pagina dedicata alle malattie dell’apparato digerente è facile imbattersi in termini non sempre immediatamente comprensibili. Quando si parla di flogosi dell’intestino, ad esempio, vuol dire che il paziente è affetto da un’infiammazione intestinale. La flogosi intestinale infatti è un’espressione che identifica la presenza di un’infiammazione utilizzando un termine della lingua latina, “phlogos” appunto, che significa “fiamma”. Una maniera più scientifica di identificare una modifica sostanziale dell’attività delle cellule, che si verifica in una zona del corpo, compromessa a causa dell’aggressione di un fattore esterno.
Differenza tra antibiotico e antinfiammatorio
La differenza tra antibiotico e antinfiammatorio è sostanziale. Vediamole. L’antibiotico inibisce la biosintesi macromolecolare, il che vuol dire che attacca degli organismi viventi, come i batteri, evitando che si diffondano. Il guaio purtroppo è che l’antibiotico, per quanto possa essere mirato, finisce con l’attaccare anche degli organismi utili come la flora batterica intestinale.
Di contro l’uso degli antibiotici si è dimostrato essenziale in molti casi per salvare vite umane. L’antibiotico nasce dalla geniale intuizione di Alexander Fleming e Mary Hunt che scoprirono la capacità portentosa delle muffe di aggredire i batteri e crearono il primo antibiotico, la penicillina. Oggi gli antibiotici, perfezionati da lunghi anni di sperimentazione e ricerca, vengono prodotti in modo da colpire solo alcuni ceppi specifici. In questo caso si parla di antibiotici a spettro ristretto. Quelli a largo spettro invece vengono utilizzati per aggredire massicciamente l’infezione.
Gli antinfiammatori invece vengono utilizzati per contrastare un’infiammazione. Infatti, anche se l’infiammazione è una reazione naturale dell’organismo che cerca di evitare il prolificare di un’insorgente infezione batterica, in molti casi uno stato infiammatorio prolungato diventa tanto insopportabile quanto dannoso.
Gli antinfiammatori si dividono in cortisonici e non steroidei.
I cortisonici o steroidei bloccano praticamente la reazione del sistema immunitario. È lui infatti che avvia il processo infiammatorio per salvaguardare la parte dall’infezione.
Gli antinfiammatori steroidei vengono usati soprattutto per alleviare le infiammazioni ai muscoli e alle articolazioni, dovute ad una attività stressante. Ma anche per combattere una reazione ad un’allergia o a una malattia autoimmune.
Gli antinfiammatori non steroidei, conosciuti anche come FANS, invece lavorano sulle prostaglandine che contribuiscono a fare insorgere lo stato infiammatorio. I FANS vengono spesso impiegati come antipiretici e antidolorifici.
I più importanti antibiotici intestinali
Secondo il parere del Prof. Francesco Scaglione del Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano, espresso durante il 35° Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia tenutosi a Bologna nel settembre 2011, per affrontare un’infezione intestinale occorre che l’azione battericida si attivi non solamente nel lume ma che aggredisca anche la mucosa.
Si tratta di una tesi che è stata formulata a seguito di un’indagine che ha messo a confronto quattro tra i più importanti antibiotici intestinali, differenti per azione e penetrazione, cioè metronidazolo, vancomicina, rifaximina e bacitracina.
Durante i lavori del medesimo Congresso ha suscitato notevole interesse anche il parere dei dottori Carmelo Scarpignato ed Eleonora Mazzeo, del Laboratorio di Farmacologia Clinica dell’Università di Parma, che hanno messo a confronto gli amino glicosidi e la rifaximina. Quest’ultima non solo è risultata più efficace nell’attività contro i Gram-positivi ma è riuscita a contrastare con ottimi risultati anche i batteri anaerobi. Inoltre la rifaximina è risultata capace di superare le barriere resistive dei batteri senza indurre particolari effetti indesiderati, anche grazie al suo bassissimo assorbimento sistemico.
Asacol invece, spesso considerato erroneamente un antibiotico, rientra nella categoria degli ASA ed ha effetti antinfiammatori. Si tratta di un farmaco che contiene la mesalazina ed è possibile reperirlo presso i presidi farmaceutici sotto forma di compresse gastroresistenti e capsule a rilascio modificato.
Per sapere quando si usa Asacol, sia nella formula 400 che Asacol 800 sappi che le compresse vengono somministrate in caso di Colite ulcerosa, malattie ulcerose croniche intestinali e Morbo di Crohn.
La formulazione in supposte invece si usa per la colite ulcerosa a livello rettale. È possibile trovare anche Asacol schiuma, realizzata appositamente per raggiungere le parti distali dell’intestino, dal colon trasverso fino al sigma e all’ampolla rettale. Asacol si usa sia nelle fasi attive della malattia che a scopo preventivo. Quando però la mesalazina viene impiegata per contrastare un’attività ulcerosa particolarmente avanzata è sempre bene associarla a dei farmaci di natura cortisonica.
La Kijimea invece è un integratore alimentare a base di Bacillum Bifidum MIMBb75. Si tratta di un ceppo di bifido-batteri molto particolari, poichè capaci di contrastare gli effetti sintomatici del colon irritabile. Una capacità che, tra l’altro, è stata confermata dai test di laboratorio, sia come efficacia che come costanza nella risposta.
Questo integratore infatti si è rivelato in grado di insediarsi direttamente sulla parete intestinale lesa e bloccare l’attività infiammatoria, creando una barriera invalicabile dai germi.
Quindi se vuoi sapere quando si usa la Kijimea sappi che essa viene prescritta come rimedio del colon infiammato, ed anche in caso di meteorismo e flatulenze, dolori addominali, stitichezza e diarrea.
La Kijimea si usa anche per i diabetici perché non contiene zuccheri, va bene per i celiaci perché non c’è glutine ed è perfetto per i vegani perché è totalmente priva di derivati animali.
Con il morbo di Crohn si possono prendere gli antinfiammatori?
Con il morbo di Crohn si possono prendere gli antinfiammatori di tipo ASA, come la mesalazina oppure gli steroidi, sempre con azione antinfiammatoria. Si tratta infatti di una malattia che si manifesta a fasi alterne, molto difficile da debellare e che spesso costringe chi ne è affetto a ricorrere ad una soluzione drastica, come un’operazione chirurgica.
Il Crohn colpisce soprattutto l’Ileo e il Colon, creando stenosi e lesioni anche negli organi collocati attorno alla parte lesa. Quasi la metà di coloro che in Italia soffrono di infiammazioni intestinali croniche, secondo le indagini delle Associazioni interessate, sono affetti dal Morbo di Crohn.
I disinfettanti intestinali
Tra i migliori disinfettanti intestinali naturali ci sono gli agrumi, ricchi di liquidi e sali minerali, indispensabili durante le crisi di mal di pancia con diarrea continua. Ma da un po’ di tempo a questa parte è stato collocato tra i disinfettanti intestinali anche il polidimetilsiloxane che è un composto di acqua e molecole di silicio. Questo principio attivo viene considerato capace di creare una struttura che si lega ai componenti patogeni, che vengono identificati in base al loro peso molecolare.
Una cosa che ha lasciato molteplici dubbi negli studiosi che si chiedono come faccia realmente il polidimetilsiloxane a identificare gli agenti nocivi e a non rimuovere gli elementi benefici. Infine è proprio l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, a catalogare il polidimetilsiloxane come semplice integratore alimentare. I suoi effetti salutari infatti non sono verificabili in quanto mancano i risultati, raccolti sia in laboratorio che sui pazienti trattati. Trattandosi alla fin fine di un silicone, giudicato inadatto anche per la creazione di protesi mammarie, cui è stata aggiunta una molecola organica per consentirgli di aggrapparsi agli organismi, probabilmente è meglio disinfettare l’intestino con altri sistemi.
Ad esempio gli enteroclismi e il lavaggio del colon sono ottimi e risultano tra i disinfettanti i più diffusi e innocui. Ma si può lavare l’intestino anche con i succhi e gli estratti di frutta e verdura, oppure assumendo semi di lino, i semi di chia o lo psillio.
Molto usata è anche la zeolite vulcanica, che assorbe gli elementi tossici e remineralizza l’intestino. Se invece bisogna ricorrere ad un lassativo si possono usare i sali di Epsom. Si tratta in pratica di un solfato di magnesio che ha lo stesso effetto delle purghe degli antichi cerusici. E infine è importante anche riuscire a evacuare al meglio.
Per agevolare l’evacuazione infatti si dovrebbe assumere una posizione che si avvicini il più possibile a quella naturale, cioè quella accovacciata utilizzata nei bagni alla turca. Per farlo si trovano in commercio dei dispositivi che si installano sulla normale tazza del WC e permettono di assumere la posizione adatta. Vediamo tra questi rimedi cos’è e come funziona l’idrocolonterapia.
Idrocolonterapia
L’idrocolonterapia consiste in un lavaggio del colon con acqua tiepida, a pressione bassissima, usando preferibilmente acque vive e ricche di sostanze minerali benefiche, come quelle di una fonte termale. Il lavaggio, effettuato con un macchinario adatto ed effettuato da personale medico competente, serve a rimuovere dall’intestino residui fecali in stagnazione e una parte dei germi che contribuiscono alla putrefazione del digerito.
Si tratta di una pratica antica, di cui si trova traccia anche nelle pratiche di medici egizi, greci e romani. Una pratica sempre raccomandata in caso di disturbo intestinale e spesso più efficace di quanto normalmente non si creda. Un sistema di pulizia dell’intestino semplice ed indolore, che arriva a rimuovere totalmente i residui anche negli spazi meno agevoli come le anse intestinali, spesso causa di forte dolore.
Cosa sono le anse intestinali e che dolori provocano
Per capire cosa sono le anse intestinali e che dolori provocano devi sapere che la iperalgesia intestinale è quella condizione patologica che colpisce l’intestino, gonfia le anse intestinali e causa un dolore diffuso. Un dolore che può essere dato anche da una motilità intestinale irregolare. In molti casi un’ecografia accurata, agevolata dall’introduzione nel segmento di una minuscola sonda, è sufficiente a rivelare la presenza di residui fecali o gas nell’intestino e in particolar modo nelle anse. Ciò crea quella che viene definita distensione addominale, visibile all’esterno come pancia gonfia.
Un sintomo che può nascondere oltretutto più di una causa, per cui è sempre meglio verificarne con attenzione la natura. A questo punto i dolori vanno attribuiti almeno a due ragioni. La prima è meccanica ed è dovuta proprio al gonfiore delle anse, quale che ne sia la causa, se aria o un corpo estraneo. L’altra invece è psicologica e dipende dalla innaturale accentuata sensibilità alla motilità intestinale. Questa può dipendere sia dallo stress che da una condizione di prostrazione psicologica, manifestatasi a causa di un evento particolarmente negativo. In questi casi per ridurre il dolore spesso è sufficiente l’uso di un farmaco dagli effetti rilassanti e blandamente analgesici.
La Mesalazina funziona?
La mesalazina rientra tra i farmaci del tipo 5 ASA ed è indicato per il trattamento degli stati infiammatori. Il suo effetto non è specificatamente antidolorifico ma, riducendo l’infiammazione, di conseguenza allevia i sintomi dolorosi causati dagli spasmi. Quindi se ritieni che la mesalazina funziona direttamente contro il dolore e non ottieni il risultato che ti aspetti, allora è meglio che tu assuma anche un antidolorifico specifico, preferibilmente consigliato dal tuo medico curante.
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Ha effetti collaterali o secondari gravi?
La mesalazina, come altri farmaci di natura chimica, ha effetti collaterali e secondari che in alcuni casi possono essere anche gravi. Questa è una delle ragioni per cui, nell’assunzione di farmaci di qualsiasi genere, è importante seguire il parere del proprio medico, che conosce perfettamente la nostra situazione clinica.
La mesalazina comunque risulta statisticamente ben tollerata nell’85% dei pazienti adulti, anche se per un 15% si sono riscontrati sintomi di cefalea, nausea, rush cutaneo e diarrea. Lo stesso vale per i bambini, con l’aggiunta in rari casi anche di risentimenti ematologici ed epatologici. Ragion per cui i pazienti che hanno un quadro ematologico alterato o che soffrono di patologie epatiche e renali, devono assumere questo farmaco sotto controllo medico.
La mesalazina, tra l’altro, possiede un’azione topica e non sistemica. Ciò vuol dire che per prolungare il suo effetto essa va trattata con dei meccanismi ritardanti, in modo che la sua efficacia si distribuisca meglio sia nel tempo che lungo i tratti intestinali. In questi casi spesso viene utilizzata la mesalazina in capsule a rilascio controllato, nel periodo temporale delle 6 – 12 ore. Oppure compresse a rilascio pH-dipendente, capaci di raggiungere la parte terminale dell’Ileo, da somministrare ogni 8 – 12 ore. In alcuni casi si può utilizzare anche in supposte, per agevolare il raggiungimento di alcune zone del colon.
Inoltre bisogna anche stare molto attenti a non assumere la mesalazina in concomitanza di farmaci con i quali va in contrasto, come ad esempio gli antiacidi.
Meglio supposte o no?
Se la mesalazina sia meglio in supposte o no dipende dal tratto di intestino nel quale deve sviluppare la sua azione antinfiammatoria. Infatti se le zone da sfiammare sono quelle del colon retto allora è sicuramente più efficace in supposta, soprattutto se presa prima di andare a dormire. Ciò perché in questo modo può rilasciare il suo principio attivo in un lungo periodo e quindi per tutta la notte. In alternativa alle supposte, soprattutto se occorre risalire verso il tenue, si può utilizzare la mesalazina in schiuma.
I farmaci aminosalicilati che caratteristiche hanno?
Per comprendere i farmaci aminosalicilati che caratteristiche hanno bisogna sapere che il principio attivo proviene dallo stesso farmaco che anticamente si estraeva dal salice. Esso nel tempo, a seguito di studi e ricerche ad hoc, ha subito modifiche ed è tuttora utilizzato nell’aspirina.
Oggi l’acido acetilsalicilico è uno dei componenti fondamentali dei farmaci aminosalicilati. Questi vengono utilizzati per curare e prevenire la recidività delle patologie intestinali croniche, come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. I farmaci aminosalicilati servono ad arginare gli stati infiammatori inibendo l’enzima ciclo-ossigenasi. Tra questi uno dei più utilizzati è proprio la mesalazina. Ma vediamo velocemente le varie caratteristiche farmacologiche in dettaglio.
Caratteristiche farmaco-dinamiche dei farmaci aminosalicilati
Le caratteristiche farmaco-dinamiche dei farmaci aminosalicilati rientrano nella categoria degli antinfiammatori intestinali e dei prodotti acido-amino-salicilici. Generalmente hanno un effetto locale non sistemico sulla parte infiammata. Al di là degli studi sul reale meccanismo d’azione, ancora in via di definizione, si è accertato che questi farmaci inibiscono l’attivazione del fattore Kappa B (NF-kB), che scatena la produzione delle citochine pro-infiammatorie. I farmaci aminosalicilati inibiscono la chemiotassi leucocitaria, regolano la produzione di citochine e leucotrieni e bloccano la nascita dei radicali liberi.
Caratteristiche farmaco-cinetiche dei farmaci aminosalicilati
Le caratteristiche farmaco-cinetiche dei farmaci aminosalicilati delineano sia i tempi di entrata in contatto del farmaco con la parte lesa che le altre caratteristiche come assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione. Per quello che riguarda i tempi di contatto, data la particolarità di alcune formulazioni, in genere bisogna attendere almeno un’ora. Come assorbimento, invece, si può contare su una percentuale del 30% circa della dose acquisita per via orale.
La sua concentrazione nel plasma si rileva entro un intervallo di tempo che va tra una e sei ore, mentre la distribuzione rilevata risulta differente in dipendenza del tipo di amino salicilato. Essa infatti aumenta dal 50% all’80% se il farmaco viene combinato in acetil-salicilato. Il suo metabolismo avviene sia in via pre-sistemica nella mucosa intestinale, sia in via sistemica nel fegato. Infine i tempi di eliminazione del principio attivo vanno dai 40 ai 70 minuti dall’avvenuto completamento dell’elaborazione intestinale e dipendono dal tipo di formulazione, quindi se il medicinale è rivestito o meno.
Si trovano al banco? Facili da comprare o no? Serve la ricetta?
Si trovano al banco? Facili da comprare o no? serve la ricetta? Sono le domande che spesso si pone chi vuole iniziare a fare uso degli antinfiammatori intestinali. Anche in questo caso bisogna fare una distinzione tra integratori e farmaci.
I primi vengono regolarmente venduti senza ricetta e molte farmacie anche online si sono attrezzate per renderli immediatamente disponibili. Per molti farmaci invece è richiesta la ricetta del medico di base o dello specialista di turno. Gli integratori ovviamente rientrano tra i farmaci da banco, essendo appunto prodotti naturali cedibili senza ricetta. Per i prodotti di sintesi invece le disposizioni potrebbero essere diverse, soprattutto a causa del principio attivo contenuto. Infatti, mentre una busta di polvere di argilla verde ventilata, oppure delle compresse di carbone vegetale, si possono trovare in qualsiasi spaccio erboristico, per acquistare un farmaco, come per esempio l’antispasmina colica, serve la ricetta medica.
La dieta antinfiammatoria
Una alimentazione corretta è già di grande aiuto per un intestino infiammato, ma ci sono alcuni alimenti che sono particolarmente indicati per portare avanti un’efficace dieta antinfiammatoria. Alcuni di essi hanno delle caratteristiche che li rende benefici per un intestino debilitato, altri invece hanno un compito più specificatamente antinfiammatorio. Vediamo quali.
I cibi antinfiammatori
In questo capitolo cercheremo di fare una carrellata sui cibi che fanno bene all’intestino e gli alimenti antinfiammatori. Per evitare di appesantire l’intestino bisogna mantenere un’alimentazione sana. Quindi sono da bandire le quantità eccessive, insieme ad alcool, zuccheri raffinati e la carne rossa, poiché i prodotti animali sono ricchi di acido arachidonico, da cui l’organismo sintetizza le prostaglandine infiammatorie.
Gli alimenti più utili contro l’infiammazione sono il riso integrale ricco di tricina, i pesci grassi ricchi di omega 3, così come i semi di lino, le noci, la soia, i semi di zucca. I mirtilli, i frutti di bosco e le prugne ricche di antocianine (basificano il ph); non dimentichiamoci la frutta fresca in generale (banane, kiwi, mele..) e la verdura cruda o cotta al vapore, come le cicorie.
Considerando che sovrappeso e diabete favoriscono l’infiammazione, il topinambur in piccole dosi è un ottimo integratore di insulina. Un vero toccasana sono anche aglio e cipolla, ricche queste ultime di quercetina,a antisatminico naturale.
I cereali integrali aiutano lo sviluppo dei probiotici, mentre frutta secca e semi oleosi sono pieni di Omega3.
Ottimo anche l’olio d’oliva ricco di vitamina E, perfetto per prevenire le infiammazioni all’intestino.
Tra le spezie invece spiccano curcuma e zenzero, mentre è da evitare il pepe.
Gli alginati e il ruolo delle alghe
In una alimentazione mirata a disinfiammare l’intestino sono molto importanti anche gli alginati e il ruolo delle alghe in questo si è rivelato davvero fondamentale. Gli alginati in pratica sono sali ricavati dall’acido alginico che a sua volta viene prelevato dalle alghe. Anzi più esattamente dalla loro parete cellulare. Si tratta di un polimero usato in molti campi. La scienza alimentare per esempio li usa per creare cibi che saziano ma poveri di calorie. La medicina invece usa gli alginati come lassativi meccanici, grazie appunto alla loro capacità di gonfiare in presenza di acqua e di spingere il materiale di scarto fuori dal tratto intestinale. Ma questo polimero viene usato anche per contenere il reflusso e contrastare la gastrite e le ulcere dell’apparato digestivo, oltre che proteggere la mucosa presente sulle pareti dello stomaco.
Le alghe posseggono delle proprietà riconosciute benefiche già da molto tempo. Il ruolo delle alghe infatti si è rivelato basilare nell’alimentazione dei popoli più longevi. Basti pensare che esse fanno parte per tradizione dell’alimentazione dei popoli atlantici, come i bretoni o gli abitanti dell’arcipelago di Okinawa.
Giusto per citarne alcune c’è l’alga kombu che è ricca di calcio, oppure la Lithothamnium calcareum. Ma in genere un po’ tutte le alghe contengono una buona dose di questo elemento naturale. Poi c’è il magnesio della comunissima lattuga di mare, ottima per alimentare la muscolatura.
E tra gli elementi fondamentali c’è anche il ferro, di cui sono ricche sia l’alga dulse che la chlorella. In ambedue infatti ce n’è una quantità più che sufficiente, tanto che per una dose bastano appena 5 grammi di polvere di prodotto disseccato. Ma c’è anche il mannitolo, lo zucchero naturale con proprietà antidepressive.
Oppure l’alga kelp, ricca non solo di vitamine, compresa la “A”, ma anche di clorofilla e minerali importanti come iodio, zolfo, ferro, magnesio, calcio e potassio. Non mancano nella kelp, tra l’altro, anche delle proteine che, come capacità nutritiva, sono molto vicine a quelle animali.
Cibo integrale: fa bene o male?
A sapere se gli integrali fanno bene o male al tuo intestino è sempre meglio chiedere consiglio al tuo naturopata o nutrizionista di fiducia. Ci sono dei casi in cui possono fare davvero bene e aiutare l’intestino. In altri frangenti invece si rivelano decisamente deleteri. Tra i cibi integrali più apprezzati ci sono i cereali e i loro derivati, come il grano integrale, con il quale si fanno pane e pasta. Poi ci sono avena, orzo e mais, tutti in versione integrale. E tra essi c’è anche il riso non brillato.
I benefici di un’alimentazione basata sulla presenza di una adeguata quantità di cibi integrali, secondo l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, limita la tendenza a diventare obesi, aiuta a contenere il diabete e riduce gli eventuali danni al sistema cardiocircolatorio.
Secondo la Società di Nutrizione Umana almeno la metà dei cereali assimilati ogni giorno dovrebbe essere integrale. Le fibre infatti sono importanti soprattutto per l’apparato gastrointestinale e niente è meglio dei cibi integrali per intensificarne il consumo giornaliero. E poi aiutano moltissimo anche durante le diete dimagranti, perché sono più sazianti e meno calorici.
Ma esistono anche degli aspetti negativi. Le fibre presenti nei cibi integrali possono irritare e peggiorare il quadro sintomatico di una persona interessata da una infiammazione intestinale in fase acuta. In genere, in presenza di una colite, il peggioramento si manifesta con una maggiore e più frequente diarrea, oltre a l’intensificarsi del dolore.
Infine tutti coloro che soffrono di gonfiore intestinale devono stare attenti a non abusarne, vista la capacità dei cibi integrali, che vengono mischiati all’acqua, di gonfiarsi oltremisura.
Lo zenzero aiuta o danneggia?
Per capire se lo zenzero aiuta o danneggia bisogna ricordare che niente in natura può essere preso indiscriminatamente. Anzi ci sono degli alimenti, anche se vengono utilizzati solo a scopo terapeutico, le cui dosi non devono assolutamente superare una certa quantità o l’effetto può rivelarsi nocivo per la salute.
Lo zenzero ad esempio è benefico per l’intestino di chi soffre di costipazione, soprattutto se viene aggiunto, non più di 30 grammi al giorno, alla classica miscela mattutina di acqua calda e limone. Basta lasciare infatti qualche fettina di zenzero fresco nell’acqua calda e limone per 10 minuti e si ottiene una bevanda ottima per digerire proteine e carboidrati e agevolare la fuoriuscita dei gas intestinali. Una bevanda che ha anche la proprietà di contrastare diarrea, colite e stitichezza, oltre ad agevolare la ripresa della flora batterica depauperata dagli antibiotici.
La radice dello zenzero ha una configurazione che assomiglia moltissimo ad un intestino. Anche per questa ragione gli antichi erano convinti che essa fosse capace di curare i problemi della pancia. La tisana di zenzero infatti, soprattutto se viene bevuta dopo un pranzo abbondante, è benefica per la digestione.
Ineguagliabile per bloccare nausea e conati di vomito, sfiamma l’intestino, controlla le intolleranze e riduce il gonfiore. La tisana di zenzero è efficace anche nei confronti dell’ulcera e del reflusso. Ma le sue proprietà salutari non si limitano all’apparato gastrointestinale, perché lo zenzero è benefico per tosse e raffreddore, mal di testa e mal di gola, dolori mestruali e dolori articolari.
Ma diamo uno sguardo anche ai consigli di Umberto Veronesi, per capire quale possa essere l’alimentazione migliore per curare l’intestino infiammato.
Insegnamenti alimentari di Umberto Veronesi
Andando a sbirciare tra gli articoli del Magazine della Fondazione, in merito agli insegnamenti alimentari di Veronesi, su quali verdure siano consigliate come antinfiammatori intestinali, è soprattutto la presenza di alcuni additivi alimentari, presenti nel cibo conservato, ad attirare l’interesse dei ricercatori.
Niente che possa suonare come un vero e proprio allarme, ma sicuramente ha il valore di un invito autorevole, nei confronti degli organi di controllo e delle aziende, ad aggiustare il tiro sull’uso di alcune sostanze particolarmente irritanti. D’altronde le prove effettuate dai ricercatori della Georgia State University, portati avanti con il contributo della Emory University, della Cornell University e dell’Università Bar-Ilan in Israele, sulle cavie da laboratorio, hanno evidenziato che due degli additivi più diffusi hanno causato danni.
Si tratta infatti di aver alterato e impoverito, nelle cavie, il microbiota intestinale e favorito situazioni infiammatorie, come colite ulcerosa e sindrome metabolica. Una situazione che si è rivelata, in più di un’occasione, prodromica del tumore al colon retto. In questo caso diventa ancora più importante stare attenti alla quantità e alla qualità del cibo ingerito ed evitare quanto più è possibile di mangiare gli alimenti conservati industrialmente.
Per quello che riguarda gli alimenti, sempre facendo riferimento al già citato magazine, la prima raccomandazione è quella di basarsi sulla dieta mediterranea. Essa infatti predilige la frutta e la verdura, mantiene nei limiti il consumo dei cereali, meglio se selezionati tra gli integrali, riduce le proteine animali e si limita alle carni bianche e al pesce. Infine bisogna mangiare anche tanti legumi e fare un consumo limitato e costante di frutta secca.
Un altro consiglio, da non sottovalutare assolutamente, è quello di evitare le diete “fai da te” e di tenere un diario alimentare, che comprenda anche le reazioni del fisico a ciascun cibo.
Un ottimo sistema per individuare successivamente, insieme ad un alimentarista o a un dietologo, quali potrebbero essere i cibi da escludere dalla dieta personale ed evitare di privarsi invece degli alimenti benefici, soprattutto quando sono ben tollerati. Rimane comunque valida la raccomandazione, per chi soffre di infiammazioni intestinali, di consumare con moderazione i cosiddetti Fodmap. Si tratta di tutti quegli alimenti in cui si concentrano gli zuccheri a catena corta, presenti ad esempio nei derivati del grano, nei latticini, in un numero abbastanza consistente di verdure e anche in alcuni frutti.
Trattamento con agopuntura
Il trattamento con agopuntura è un sistema terapeutico che appartiene alla Medicina Tradizionale Cinese. In Occidente esisteva una pratica analoga, affidata all’uso sapiente delle dita del terapeuta, le cui regole sono andate perdute tra la fine del ‘700 e i primi dell’800.
L’agopuntura si basa sulla teoria che esistano all’interno del corpo umano dei canali energetici, definiti meridiani, lungo i quali circola l’energia vitale. Chi pratica l’agopuntura sostiene che in alcuni casi questa energia si ingolfa, oppure si blocca in alcuni punti specifici, dando origine a degli scompensi che sono le vere cause delle malattie. In questo caso il terapeuta inserisce degli aghi particolari in alcuni punti di questo vasto sistema e ristabilisce l’equilibrio energetico.
Conseguenze di trattamento
Le conseguenze di questo trattamento, soprattutto nella cura del dolore, sono tali da provocare un sensibile alleviarsi del male per progressiva eliminazione delle cause. Ma c’è da fare qualche distinguo. Innanzi tutto il terapeuta deve essere stato accreditato presso una scuola di agopuntura riconosciuta dalle istituzioni mediche internazionali o potrebbe non ottenere l’esito che ci si aspetta. Poi, almeno per quello che riguarda le reazioni, esse possono cambiare da persona a persona, in dipendenza di almeno due cose. La prima è la causa scatenante del dolore. Essa infatti può essere occasionale o radicata. Se è occasionale in molti casi l’agopuntura ha delle conseguenze positive che durano nel tempo.
Se invece è radicata l’effetto benefico potrebbe durare poco e il malessere tornare ad affacciarsi prepotentemente. In questo secondo caso va combattuta la causa profonda e non sempre l’agopunturista moderno, che ne conosce solo gli aspetti meccanici, è davvero capace di intervenire nel profondo. Ma non bisogna mai pensare che sia un male. Infatti i veri maestri dell’agopuntura generalmente non rivelano tutti i dettagli della pratica. Ciò perché alcuni di essi potrebbero essere molto pericolosi, se non addirittura mortali. Ma torniamo agli antinfiammatori intestinali.